CHIUSE LE PAGINE “PHICA.EU” E “MIA MOGLIE”

Nelle ultime settimane, sono state chiuse le pagine Phica.eu e Mia moglie. La prima, nata nel 2005, è rimasta indisturbata per quasi vent’anni, fino a quando la notizia della presenza di foto di donne riconoscibili ha scosso l’opinione pubblica. Fino a quel momento, la condivisione non consensuale di contenuti intimi e privati di donne era passata in sordina. La seconda era attiva dal 2019.

Con queste parole viene comunicata la chiusura di Phica.eu: “È arrivato il momento di fare chiarezza. Phica è nata come piattaforma di discussione e condivisione personale […]. Purtroppo, come accade in ogni social network, ci sono sempre persone che usano in modo scorretto le piattaforme le, danneggiandone lo spirito e il senso originario.”

Il gruppo Mia moglie, invece, è stato chiuso qualche settimana prima. Gruppo dove migliaia di donne hanno scoperto proprie foto in situazioni intime, familiari. Mogli che hanno trovato condivise foto di loro al mare, con le figlie piccole.

Luoghi virtuali tossici che continuano a normalizzare dinamiche violente, discriminazioni e sessismo.

Luoghi talmente osceni che persino chi li ha creati ora ne prende le distanze. “Nonostante gli sforzi, non siamo riusciti a fermare in tempo i comportamenti tossici […]”, scrivono nel comunicato di chiusura di “Phica.eu”, nascondendosi dietro la scusa della responsabilità personale.
Quella di chi ritiene che sia sufficiente chiudere le pagine e lasciare che il tempo faccia il suo corso e la memoria collettiva cancelli dalla sua storia questa vicenda.

E invece questa è una questione di responsabilità collettiva: di prendere atto del fatto che la cultura della violenza e del possesso è ancora ben presente tra le mura delle case che ci circondano. Di rendersi conto che ogni donna, alla vista della notizia, ha pensato “ci sarò anche io?”. E di iniziare veramente ad agire dal basso, giorno dopo giorno, scardinando le logiche che hanno portato all’ideazione di queste piattaforme.

Il marcio nella nostra società non è un caso isolato, come spesso si vuol far credere. Va riconosciuto, analizzato e affrontato, non nascosto per paura di guardare in faccia i nostri mostri.

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